Farra di Soligo

SANTA MARIA NOVA

 

E’ il 1918. Una granata italiana colpisce la piccola chiesa di Santa Maria Nova a Soligo. Crolla parte di una parete, si distaccano porzioni di intonaco. Un dramma. Ma emergono degli affreschi. Trecenteschi. Uno stemma ci dice che questa chiesa è legata alla famiglia da Camino. Ricordiamo il buon Gherardo citato da Dante? 

O tuo parlar m’inganna, o el mi tenta”,

rispuose a me; “ché, parlandomi tosco,

par che del buon Gherardo nulla senta.

Per altro sopranome io nol conosco,

s’io nol togliessi da sua figlia Gaia.

Dio sia con voi, ché più non vegno vosco.

 

Era nato proprio tra queste colline nel 1240. Ebbe dei figli legittimi e dei figli naturali. Tra questi ultimi Giacomo che fu signore di queste terre. E a suo figlio, Rizzardo da Soligo, si deve nel 1350 la fondazione di questa chiesa. Era compresa nella sua residenza e luogo destinato alla sua sepoltura. E’ un gesto di fede, una buona opera per espiare i peccati, un modo per ricordare i familiari morti di peste. 

 

C’erano già otto chiese in questo territorio, tre dedicate a Maria, ecco perchè si chiamerà Santa Maria “NOVA”. Rizzardo da Soligo doterà la chiesa di beni in modo che le rendite forniscano di che vivere a un sacerdote. La legherà all’Ordine dei Cavalieri di Gerusalemme, poi chiamati di Malta, presenti nel Castello di San Salvatore dei Collalto. In sette secoli la chiesa ha avuto molte trasformazioni, l’inserimento di tre arcate a separare il presbiterio, l’innalzamento del soffitto e i citati danni di guerra. Le sue pareti sono per noi un libro prezioso da sfogliare, anzi da raschiare virtualmente come fosse un antico manoscritto. L’intervento più recente è del 1489 e ha cancellato un’opera dallo stesso soggetto di 140 anni prima. Trent’anni prima, negli anni Sessanta del Quattrocento, era intervenuto un pittore attivo a Serravalle, il cosiddetto Maestro della Cappella Galletti. Nel 1450 Giovanni Antonio da Meschio dipinge una delicata immagine di Santa Lucia. Nel 1362 sono presenti due maestri che dipingono sulla parete nord. Uno realizza una sorta di trittico e il Sant’Antonio Abate. L’altro dipinge cinque santi e pone un’iscrizione che reca la data, il nome del committente, Armerico degli Azzoni, un nipote di Rizzardo da Soligo. Speroni, gambali, daghe e baselard ci parlano di una famiglia legata al mestiere delle armi.  L’abbigliamento è aggiornato alla moda del 1340 che aveva lanciato gli scolli larghi e arrotondati. E poi pesanti sete decorate, colori vivaci, bottoni dorati, passamanerie, fodere di pelliccia e i lunghi manicottoli: sono abiti lussuosi, rendono onore ai santi e precisano il rango dei da Soligo posti ai loro piedi. Sono santi riconoscibili che vivono nel tempo degli uomini. I dipinti più antichi, realizzati poco dopo il 1350, sono quelli sulla dietro l’altare correttamente rivolto verso est.

 

Cosa sappiamo di questo pittore così abile nel rendere il volume delle figure e le loro espressioni? Non il nome. Ma conosceva le opere di Giotto nella interpretazione fattane dalla scuola Riminese nella cappella di San Salvatore del vicino Castello di Susegana. Un formidabile ciclo di primo Trecento distrutto dalle bombe italiane nel 1918. La stessa guerra ha tolto e ha disvelato. Entrare in questa piccola chiesa ci permette di capire quanto raffinata fosse la cultura artistica tra queste colline Settecento anni fa. Un territorio che non è solo bellezza del paesaggio. E’ profondità della storia.

 

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