Revine Lago

REVINE LAGO

Sacra conversazione… con musica!

 

Nel 1515 Francesco da Milano riceve dei pagamenti per la pala di Lago, nel comune di Revine Lago. La chiesa di San Giorgio che oggi la custodisce è stata consacrata nel 1923, ma poco lontano si riconosce la sagoma di quella antica. Il pittore si chiama in realtà Francesco Pagani. Era arrivato a Serravalle nel 1502 provenendo da Figino, una località oggi alla periferia ovest di Milano. Era già un bravo pittore che si era formato nel vivace ambiente milanese di Ludovico il Moro, dominato artisticamente da Leonardo da Vinci e dalla grande fabbrica del Duomo. Ma qui è un “foresto” e così la sua origine diventa un cognome. Sceglie di venire in Veneto. Le vere ragioni non emergono dai documenti.

 

Possiamo immaginare questo giovane artista che vuole vedere con i suoi occhi le novità dell’Arte Veneta: una pittura che si fa senza disegno, dove domina il colore e il paesaggio è protagonista, esprime sensazioni e sentimenti. E’ questa la rivoluzione che si realizza nella pittura a Venezia tra Quattrocento e Cinquecento con Giovanni Bellini, Cima da Conegliano, Giorgione e il giovane Tiziano Vecellio

 

Nella pala di Lago, la più grande del suo primo periodo, Francesco da Milano ha ancora ben presente la pittura lombarda. 

Il volto di Maria è rotondo, dilatato, silente, elegante. Come quello delle due sante, Caterina d’Alessandria e Maria Maddalena, che compongono un trittico tutto femminile. I capelli biondi, lunghi e ricci di quest’ultima citano i ritratti femminili del Boltraffio, pittore milanese che fu diretto collaboratore di Leonardo. Altri elementi rivelano che il pittore conosce la pittura presente a Venezia: il bicchiere finemente orlato che Maria Maddalena tiene in mano, evocando il vaso con il nardo, ricorda direttamente la trasparenza che nel 1475 Antonello Da Messina aveva dato allo stesso oggetto nella pala di San Cassiano. E la corona, così ricca e traforata, è citazione della Madonna Salting. La scena è ordinata dall’architettura: la nicchia al centro ospita il trono della Madonna. Ma ai lati il pittore evita ogni simmetria per lasciare spazio a due piccoli paesaggi che fondono la grafica tedesca con le atmosfere venete. In primo piano le due figure maschili, San Giorgio e San Biagio, ci invitano a rivolgerci a Maria. La luminosa armatura del santo guerriero è descritta con precisione maniacale, le alette su gomito e ginocchio, il fiancale sagomato, gli ampi spallacci, la lunga spada con elsa decorata. Grande minuzia troviamo nel ricamo della tonacella in pregiato velluto rosso e nel pettine da cardatore, attributo di san Biagio. La scena risulta molto animata, festosa perché il fraseggio è rapido e l’attenzione è posta a ogni dettaglio, senza gerarchie. Veri portatori di gioia sono i quattro angioletti. I due che vediamo per primi, perché originariamente posti all’altezza dei nostri occhi, sono quelli musicanti: ecco il suono ritmato di un cembalo cui si aggiunge la melodia del flautino. Prefigurano il Paradiso e la gioia che i fedeli potranno godere se, grazie all’intercessione dei Santi, giungeranno a Maria. In alto gli altri due sono davvero indaffarati a sorreggere il drappo verde e la corona, segni importanti della regalità di Maria. E il vessillo, attributo di San Giorgio, è qui prefigurazione della Resurrezione, però le sue ridotte dimensioni lo trasformano in un piccolo dono che passa dalla mano del santo a quella di Maria. Ci manca però una cosa importante. Il nome del committente, colui che vorremmo ringraziare per essersi fidato di un giovane pittore “foresto”. La sua immagine c’è, ci manca solo il nome. 

 

 

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San Francesco di Paola e il suo santuario. Opera di uno, patrimonio di tutti

 

Nel santuario di San Francesco di Paola, vi è un ex voto. Risale al mese di settembre del 1849. Vi si legge AD ETERNA RICONOSCENZA REVINE LIBERATA DAL CHOLERA PER INTERCESSIONE DI SAN FRANCESCO DI PAOLA. E’ un’immagine davvero importante perché “fotografa” il complesso architettonico e il suo contesto a metà Ottocento. E perché testimonia il legame profondo che nel tempo si è stabilito tra la comunità locale, il santo calabrese e questo luogo sacro a lui dedicato.

 

Una folla in processione percorre il sentiero zigzagante che conduce alla chiesa, accompagnata da stendardi e crocifisso. Alcuni fedeli hanno già raggiunto il sagrato. Un sacerdote avvicina una donna ammalata e la invita ad alzare lo sguardo e a pregare Francesco di Paola. Il santo si fa presente, sospeso entro un fascio di luce. Stringe l’insegna con il motto: CHARITAS, e tiene lontana la morte dalla comunità di Revine. A Venezia, quell’epidemia di colera aveva causato in poco più di un anno migliaia di vittime: …il morbo infuria, il pan ci manca… aveva scritto il poeta Arnaldo Fusinato.

 

A Revine la devozione a san Francesco di Paola risale al Seicento e mette salde radici grazie ad un sacerdote, don Giovanni Cumano, nativo di Cison di Valmarino e parroco di Revine per 43 anni, dal 1676 fino alla morte. Uomo singolare, di grande levatura, insignito dal papa del titolo di protonotario apostolico. E’ lui che tra il 1688 e il 1702 desidera fortemente, pensa e finanzia questo edificio sacro dedicato a Gesù, alla Vergine Maria, a San Michele arcangelo e a san Francesco di Paola.

 

Lo costruisce sulle pendici del monte Frascone, al di sopra di un massiccio muraglione affacciato sull’abitato di Revine. Come una sentinella silente e salda. Ben presto fa erigere anche sei cappelle lungo il sentiero. Insieme al santuario, richiamano le sette basiliche romane. Visitarle, sostarvi, completare il cammino fino all’oratorio stesso, confessarsi, ricevere l’eucaristia consentirà ai fedeli di ottenere l’indulgenza dai peccati. D’altronde, un percorso come questo esisteva già dal 1642 presso il vicino santuario di Sant’Augusta a Serravalle.

 

Varcando la soglia del santuario, si percepisce con forza la presenza del suo committente, vi è l’effigie in controfacciata, la lastra tombale sul pavimento. Questo bizzarro sacerdote la fa scolpire quando è ancora in vita facendo riportare addirittura la data presunta della sua morte… Il bianco degli intonaci fa risaltare i toni caldi della pietra di Cugnan. Numerose iscrizioni punteggiano le pareti. Descrivono nel dettaglio il senso profondo di questo luogo sacro. Una fitta quadreria celebra il santo titolare, Francesco di Paola, da solo o accompagnato da altri santi. Come in una piacevole litania figurata.

Al primo piano, ecco l’abitazione che don Cumano ha voluto per sé. La camera è completamente affrescata. Un’immersione nei cinque misteri gaudiosi, dall’Annunciazione all’adolescenza di Gesù. Poi un Crocifisso. Ma anche brani di paesaggio. Giocano con il paesaggio vero, di struggente bellezza, che si scorge dalle finestrelle e si perde dentro la vallata del lago di Santa Maria. E poi, un cane, compagno fedele. Nel camerino, San Francesco di Paola, immancabile. Ed infine la morte sotto forma di scheletro che brandisce la falce.

 

Dal 1936 il santuario è teatro di sacre rappresentazioni. La domenica delle Palme e il Venerdì santo, Revine si anima e centinaia di figuranti, come in una nuova Gerusalemme, mettono in scena la Passione di Cristo. Tutto ha inizio nel sagrato della chiesa parrocchiale, con l’Ultima cena. Il racconto procede via via lungo la salita che porta al santuario. E lassù, tutto si compie con la Crocifissione e la Morte. Oggi come allora, il santuario è una presenza viva. Un punto di riferimento anche visivo per chi passa da queste parti. E’ opera di uno, ma oggi è patrimonio di tutti.

 

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Francesco da Milano VS Tiziano

 

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