Cordignano

CORDIGNANO

Un monumentale altare ligneo per una piccola, veneratissima immagine mariana

La seicentesca chiesa arcipretale di Cordignano ha una forma inconfondibile: una navata unica, affiancata da due corpi laterali a pianta centrale. Così sovradimensionati da sembrare degli edifici sacri a sé stanti. Al loro interno, vi sono due maestose cappelle, dedicate rispettivamente a San Francesco d’Assisi, quella di sinistra e alla Madonna del Rosario quella di destra.

 

La cappella di San Francesco conserva un monumentale altare ligneo seicentesco dedicato al poverello di Assisi. Il dossale ospita una tela coeva con Crocifissione e santi. Ma non è questo il suo assetto originario. E nemmeno la dedicazione. Per ricostruirne la storia, ci vengono in aiuto due preziose fonti: una fotografia degli anni Cinquanta del Novecento e un documento, datato 8 dicembre 1647. Partiamo dall’immagine storica e divertiamoci a metterla in relazione con l’assetto odierno. Guardiamo il complesso dal medesimo punto di vista, salendo sul pulpito. La visione è parziale, certo, ma sono già evidenti importanti differenze. La ricca fornitura della mensa, con tovaglia, candelieri e cartegloria: ci dice che su questo altare si celebrava ancora la messa. Ma ciò che balza all’occhio e che ci interessa davvero è il dossale. Il dipinto con la Crocifissione e santi non è presente. Al suo posto, curiosamente, si scorgono una piccola e preziosa teca centrale, una tela dipinta con nuvole che le fa da cornice ed una cordicella. Di cosa si tratta? Basta recarsi all’interno della speculare cappella del Rosario per scovare quella teca e per trovarsi a tu per tu con la piccola immagine che custodisce. Davvero graziosa! Consiste in un pezzetto di tela rettangolare, alto poco più di otto centimetri, su cui è stampata in nero a mezzobusto la figura della Vergine incoronata con Gesù Bambino in braccio. Ha la foggia di uno scapolare, vale a dire di un oggetto devozionale mariano, legato ai Carmelitani e da questi consegnato ai laici associati all’ordine per mezzo di Confraternite. Veniva indossato come una collana al di sotto degli indumenti.

 

La tradizione vuole che un certo Paolin De Pol di Ponte della Muda nel 1641 si sia recato a Modena presso un santuario del Carmine. Prima di fare ritorno, ebbe in dono da un frate la Madonna del Carmine riprodotta su stoffa. Rivelatasi miracolosa, venne posta in un’edicola dove un gran numero di pellegrini la veneravano e facevano offerte in denaro. L’8 aprile 1643, l’immagine viene portata definitivamente nella chiesa di Cordignano con la costruzione di un’apposita cappella e la costituzione Confraternita della Beatissima Vergine del Carmine. Ed ecco il documento dell’8 dicembre 1647. La Confraternita stipula un contratto con la rinomata bottega dei Ghirlanduzzi di Ceneda, rappresentata da Giambattista e dal fratello Andrea, per l’erezione di un altare appositamente per custodire l’immagine mariana. Si specifica chiaramente quali dovevano essere i requisiti principali dell’opera: le misure, monumentali, la scelta dell’essenza lignea, il cirmolo, il numero degli angeli e la funzione per la quale erano previsti, il prezzo, la modalità del pagamento, del trasporto e della messa in opera del manufatto. A questa bottega si deve senza dubbio anche la teca in legno dorato che custodisce l’immagine mariana. Ne risulta una macchina compositiva complessa e dinamica. Elementi architettonici, tralci di vite, festoni di frutta e fogliame, angeli e profeti convivono armoniosamente. E a ben vedere, dietro l’altare, attraverso una scaletta in pietra si raggiunge il retro e si scopre che la cassa per la teca dorata esiste ancora e così il sistema di carrucole per disvelare Maria ai fedeli. Un monumentale, raffinato palcoscenico, con tanto di sipario per una piccola veneratissima immagine mariana, degna di ogni lode.

 

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