La vita delle opere d’arte non è sempre facile. Sono oggetti che vivono con la materia di cui sono costituiti e si devono adattare ai contesti che li ospitano. La pala d’altare della parrocchiale di Orsago con San Rocco e San Sebastiano è un interessante esempio di questi non rari adattamenti. La sua attuale collocazione risale agli anni Quaranta dell’Ottocento. In quel momento la tela venne allargata per essere collocata entro il dossale marmoreo e fu dipinto l’ampio paesaggio che la incornicia. Ma questa espansione della tela, quasi un raddoppio, evidenziò un cielo vuoto che si decise di riempire con un angioletto portapalma.
E’ davvero grande e ha modificato la composizione. In basso è stato invece collocato un cane accovacciato, attributo di san Rocco. L’opera originale corrisponde quindi alla porzione centrale, più piccola e adatta ad essere inserita in altare ligneo, oggi perduto. Eseguita all’inizio del Seicento da Gaspare Narvesa, un pittore attivo soprattutto nel pordenonese, che utilizza una tavolozza derivata da Paolo Veronese, mentre forme e composizione ricordano Tiziano Vecellio. E’ un interessante esempio della persistenza che il linguaggio tizianesco ha avuto in questo territorio e che ha arginato il dilagare del Barocco, con le sue figure contorte, le visioni ultraterrene e i colori pastello. Troviamo riuniti i due santi protettori dalla peste che lungo i secoli hanno avuto grande fortuna taumaturgica, e perciò iconografica, in tutta l’area veneta. Questo dipinto precede l’esplosione devozionale che essi avranno pochi anni dopo, all’epoca della peste del 1630, quando Venezia sollecitò le comunità di tutto il territorio a creare luoghi o immagini per ringraziare Maria o i due santi taumaturghi dello scampato pericolo. I volti sono dei bellissimi ritratti. Entrambi guardano la ferita di San Rocco, ma non vi è drammaticità. Anche San Sebastiano, pure trafitto da una freccia, ma solo una, non esprime il proprio dolore. E’ la quotidianità del sacro che prende forma e non c’è nulla di ultraterreno: ecco un’altra ragione per cui l’angioletto che porta la palma, simbolo del martirio, ci appare come una nota stonata. Il corpo ostentatamente nudo e muscoloso di Sebastiano rientra negli stilemi della pittura manierista. Ma questa monumentalità michelangiolesca si ammorbidisce con le pennellate alla Tiziano. La posizione di San Rocco è naturale, priva di enfasi, il suo abbigliamento è invece un coraggioso incontro di colori accesi: azzurro, verde, rosa.
Il paesaggio è morbido e digradante: una stradicciola si insinua tra le colline e le nubi si soffermano sulle montagne più alte. E’ anch’esso un soggetto del dipinto: è un luogo reale che rende reale anche la presenza dei santi.
EMOZIONATI ANCORA! SCOPRI ALTRI LUOGHI!
Il Sacro per la salvezza:
- Giovanni Zanzotto, oratorio del Carmine a Pieve di Soligo.
- Cristo della Domenica, pieve di San Pietro di Felletto.
- Francesco Beccaruzzi, arcipretale di Mareno di Piave.
- Giovanni Marchesi, parrocchiale di San Vendemiano.
VAI ALLA MAPPA “LE VIE DEGLI ARTISTI”!