CONEGLIANO
La Sacra Conversazione di Cima da Conegliano
Entro uno spazio monumentale, in un’atmosfera cristallina e composta, colori e forme hanno una forza d’attrazione irresistibile. Terra e cielo, umano e divino, materia e spirito si incontrano. Qui ed ora. L’architettura che ospita l’evento è il presbiterio di una chiesa. E il pittore ce la rappresenta in modo tale da invitarci a prenderne parte. La rende fortemente prospettica, tanto da condurci dentro il quadro. Ne dipinge solo una porzione. Il resto ce lo lascia immaginare, anzi percepire, sopra di noi. Quadrato e cerchio definiscono questa architettura. Il quadrato dà forma alla sua pianta, scandisce il pavimento: richiama la finitezza della terra. Il cerchio ricorre nella cupola, con le sue finestrelle, negli archi su cui poggia, nella stessa forma centinata della pala: è emblema della perfezione, della volta celeste; è segno di una realtà spirituale. Quadrato e cerchio. Terra e cielo, in relazione tra loro. E il cielo in questo dipinto c’è per davvero. Inaspettatamente, sostituisce l’abside di questa chiesa. Il suo azzurro cristallino, solcato da nuvole bianche rende l’aria frizzante. Ma la sua presenza qui ha un significato che va ben oltre il dato naturale: più che presenza si fa aspirazione. Brandello di Paradiso. E la “porta” per accedervi è Maria.
Cima da Conegliano, autore di questa pala, rende esplicita questa verità di fede, collocando la Vergine con il suo Bambino su un alto trono marmoreo che si staglia in quell’azzurro ultraterreno. E’ Lei il cuore della composizione, a Lei è dedicata la sacra immagine. Più in basso, si ergono i sei santi, solenni, gli sguardi intensi e ben caratterizzati. Le mani, sembrano note distribuite su un pentagramma. Descrivono gesti e posture. Corrispondenze si colgono persino nella distribuzione dei personaggi, laddove i bambini stanno al centro, contenuti dalle figure femminili, seguite ai lati da quelle maschili.
E’ il 1492, quando Cima da Conegliano dipinge questo capolavoro per la sua città natale, da collocare sull’altare maggiore della chiesa di Santa Maria dei Battuti, ricostruita e consacrata il 6 giugno dell’anno precedente. Lo richiedono con determinazione ed orgoglio i gastaldi della confraternita. Lui è già un pittore esimio che vive a Venezia, la capitale europea dell’arte, dove operano Gentile e Giovanni Bellini, quest’ultimo è stato il suo maestro. Ma vi sono anche i Vivarini, Carpaccio e Giorgione.
E in questa pala, Venezia è presente, eccome. Lo spazio architettonico è un omaggio a San Marco, allora cappella dogale. Certi dettagli tessili, i calzari di Santa Caterina e il tappeto alla turchesca sono assaggi della cultura di questa città cosmopolita al volgere del secolo, mentre le note di un liuto e di una ribeca aggiungono all’armonia del colore e delle forme quella dei suoni. Ricordano l’importanza della musica, che qualche anno più tardi, nel 1528 Baldassar Castiglione enuncerà tra le virtù nel suo Libro del Cortigiano. E poi, i raffinati e lucenti manufatti marmorei, sapientemente calibrati nei toni cromatici e nelle tipologie rare, sono incursione nell’antico, secondo il clima culturale veneziano. Le figure sono ben disegnate e tornite. Quasi fossero sculture dipinte, che risentono della statuaria di Antonio e di Tullio Lombardo. Luccichii di seta, calde morbidezze di lane, eleganza di ricami a fondo oro sulle bordure di un piviale che diviene espediente l’inserimento di un santo, per nulla marginale: quel Leonardo di Limoges che è titolare della pieve su in castello, matrice di questa chiesa. Ed infine, un foglietto, con le sue palpabili piegature, a ricordare il nome dell’artista, il 1493, anno di collocazione della pala, ed i nomi dei gastaldi della confraternita dei Battuti, Francesco Codroipo e Giovanni della Pasqualina. Approda così a Conegliano un’opera dirompente.
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